L’Italia è la patria dell’enogastronomia. Sicuramente, a livello di vino può essere definita solo da serie A. E così se siamo alla ricerca di buon vino al fine di tenere Il meglio in cantina, non possiamo fare altro che guardare al Vino cooperativo. Stiamo parlando di uno dei perni principali dell’economia nazionale. Nella top list delle prime società vinicole per fatturato che ha avuto la sua pubblicazione direttamente dall’area studi Mediobanca, ci sono anche quest’anno 8 cantine cooperative, tutte con una fatturazione totalizzata di gran lunga superiore ai 100 milioni di euro: Cantine Riunite &Civ, Caviro, Mezzacorona, Cavit, Cantina di Soave, Terre Cevico, Collis Veneto Wine Group e La Marca.
Vino italiano: boom di cantine cooperative
Pare che il 2017 sia stato l’anno boom per l’esportazione del vino delle cantine cooperative, che ha raggiunto una cifra da capogiro pari a 1,9 miliardi di euro (+5,6%), una quota che equivale al 32% del valore totale delle esportazioni italiane di vino (in valore 5,9 miliardi).
Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari (Aci) ha affermato che «La grande crescita dell’export cooperativo è il riscontro dei notevoli investimenti realizzati negli ultimi anni dalle cantine per presidiare tutti i principali mercati esteri. E non è un caso che siano proprio le cantine cooperative a trainare la crescita delle esportazioni. Secondo il Rapporto 2017 dell’Osservatorio della cooperazione agricola italiana, l’export delle prime 25 cantine cooperative ha avuto nell’ultimo anno una crescita del +8,8%, quasi il triplo del tasso nazionale (+3,2%)».
Nel team di produttori vinicoli rientrano ben 480 cantine, per 141.000 soci produttori e oltre 9.000 addetti, pari cioè al 60% della produzione vinicola media del Paese, con un giro d’affari di 4,5 miliardi di euro. E se ci si sta domandando dove va il vino cooperativo, la risposta è ovviamente sempre più verso Oriente, con un aumento a due cifre e buone prospettive di ancora maggior espansione a partire dalla Russia, dove il livello di export italiano ha avuto una totalizzazione di un +43% in volume. Stazionari, invece, mercati come Gran Bretagna, Germania e gli stessi Stati Uniti.
Vino, la produzione dell’Italia non molla
Ecco che la mappa degli scambi mondiali ci mette in evidenza come la Russia stia per tornare a spianare le vele come grande importatore di vino, almeno cosi racconta Ruenza Santandrea, coordinatrice vino dell’Aci. Un altro Paese che si affaccia molto al vino italiano, specie per il futuro, è il Giappone, dove c’è una momentanea fase di stallo per l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio con l’Ue.
Tuttavia quella che è la leva dazi non basta sicuramente da sola secondo la spiegazione di Santandrea, poiché il prerequisito per la conquista di un cliente giapponese è quello della qualità totale, e per questo motivo bisogna essere di gran lunga organizzati, efficienti e rigorosi durante le fasi di controllo.
Quanto alla Cina le mode di crescita sono anche in questo caso a due cifre ma i volumi si mantengono bassi. Pare che il consumatore cinese sappia poco o addirittura nulla dei vini italiani, anche perché sino ad oggi le aziende italiane hanno dovuto sopportare il limite di puntare sui loro marchi senza essere presentate in qualità di sistema Italia. Per questo non bisogna affrettarsi a considerare la Cina come la gallinella dalle uova d’oro. Certo, ci sta un buon potenziale, ma i risultati in termini di vendite potrebbero non essere né immediati e né grandiosi.